Nascosto da occhi indiscreti, il convoglio imbocca i sotterranei della stazione attraverso l’accesso in via Ferrante Aporti, posto al livello del manto stradale, e in pochi istanti le centinaia di persone a bordo vengono trasferite su vagoni merci poi sprangati dall’esterno.
Uomini, donne, moltissimi bambini e un neonato.
Ciascun vagone è solitamente adibito al trasporto di otto cavalli, mentre quella mattina conteneva circa 80 persone, senza cibo né acqua e un secchio come unico servizio igienico.
Destinazione ignota.
Solo quando il treno si ferma, dopo parecchie ore, per permettere ad alcuni di scendere e risciacquare il catino, appare chiara la meta finale, scritta a grandi lettere a lato del treno, che soffoca anche il più piccolo barlume di speranza: Auschwitz. Tutti sapevano che quello sarebbe stato un viaggio di non ritorno.
Quello del 30 gennaio 1944 è solo uno dei 15 treni merci partiti da Milano carichi di ebrei e diretti ai campi di smistamento, concentramento e sterminio.
Su 605 persone partite quel neanche poi tanto lontano giorno d'inverno, soltanto 22 fecero ritorno e come disse in seguito una delle sopravvissute, Goti Bauer: Noi siamo usciti da Auschwitz, ma Auschwitz non è mai uscito da noi.